Sharing Economy e Social Eating; la condivisione anti-spreco e non solo
La sharing economy è in un momento di trasformazione. Era il 2013 quando l’Economist dedicò una sua copertina di marzo alla nascita di una nuova forma di economia che, grazie allo scambio e alla condivisione dei beni, avrebbe portato vantaggi economici, ambientali e sociali.
Una delle sue declinazioni è il Social Eating che racchiude aspetti vantaggiosi anche in vista della riduzione dello spreco alimentare: in Italia ogni anno vengono infatti “buttati” 2,2 milioni di tonnellate di cibo, anche se i dati stanno migliorando.
Il Social Eating ormai affermato in tutta Europa è sbarcato anche in Italia; le cene social eating sono prima di tutto un modo nuovo per conoscere persone e sentirsi meno soli in città, ma anche un espediente ingegnoso per affrontare la crisi, ridurre lo spreco e perfino inventarsi un lavoro.
Basta una casa, un menù ben studiato e un tema originale, poi l’invito corre sul web, nei social e sulle piattaforme dedicate, e nonostante la diffidenza e il timore iniziale ogni volta è un successo tutto esaurito.
Le combinazioni diventano infinite e spaziano dalla cena in vigna agli antichi casolari restaurati con menù esotici o tradizionali, in alcuni casi la cena si trasforma in un momento culturale dove apprezzare una mostra d’arte o condividere dissertazioni filosofiche.
In un contesto così variegato ognuno può trovare la sua dimensione e sperimentare un’esperienza di condivisione con una valenza ambientale e culturale.
In Italia c’è una prevalenza di donne, la maggior parte di età compresa tra 35 e 45 anni. Inoltre, soprattutto nelle città, l’età media tende a essere più giovane che nel resto del mondo. Ci sono numerosi iscritti anche nella fascia tra i 25 e i 35 anni. Una generazione più abituata, forse, a parlare le lingue e socializzare con gli sconosciuti.
Un po’ come ne “Le Fate Ignoranti” di Ferzan Ozpetek, agli italiani piace il social eating. Solo nel 2015 si sono registrate 10mila persone su un totale di 60mila utenti nel mondo. Siamo secondi solo alla Francia, che conta 20mila iscritti. Sono questi i numeri di VizEat, social network nato in Francia nel 2014 e approdato in Italia nel febbraio 2015.
Un evento che ha già le sue piattaforme di riferimento come Gnammo, una delle prime che si occupa di social eating e che ha creando una comunità molto ricca e variegata con più 8.178 cuochi social, 19.311 eventi in 2.313 città e 20mila persone che hanno già provato l’esperienza.
Questo fenomeno sociale di recente viene analizzato per vagliare le possibili evoluzioni produttive future, come il recente studio effettuato dalla Cornell University che ha analizzato la relazione tra pasti condivisi ed efficacia del lavoro in gruppo. La ricerca è stata condotta nell’arco di 15 mesi in oltre 50 stazioni dei vigili del fuoco e ha messo a confronto le performance delle squadre abituate a condividere i pasti e di quelle in cui invece i pompieri mangiano soli, rilevando risultati notevolmente peggiori in quest’ultimo caso.
Una tendenza che, secondo i ricercatori della Cornell, può essere estesa a tutte le organizzazioni, aziende comprese, fornendo la base scientifica al famoso aforisma di Virginia Woolf:
«Uno non può pensare bene, se non ha mangiato bene»
Edited by Martina Andreoni